Azienda da vent’anni nel settore: “Nell’arco di una stagione sarebbe il caso di intervenire almeno tre o quattro volte. È importante affidarsi a dei professionisti con giusti strumenti e conoscenze, senza esporsi al rischio di contagio mettendo a repentaglio la propria salute.
In tanti non aspettano altro che poter tornare a giocare e correre nel proprio impianto sportivo. Giocatori, dirigenti, presidenti. Tutti non vedono l’ora di tornare sul campo. Prima di aprire di nuovo i cancelli, però, uno dei passi obbligatori da compiere è la sanificazione del centro in cui verranno accolti i giocatori e tutte le persone che ruotano attorno ad una società sportiva. Abbiamo chiesto dunque ad un esperto cosa significa sanificare un impianto e quali sono i processi che bisogna seguire per creare un ambiente sicuro. Ci siamo rivolti dunque a Domenico Musicò, titolare dell’azienda “SPQR Disinfestazione” che opera nella capitale ormai da oltre vent’anni.
Prima di addentrarci nelle dinamiche del suo lavoro, le vorrei chiedere come ha vissuto personalmente l’emergenza Coronavirus, arrivata in maniera del tutto inaspettata.
“Io sono stato praticamente sempre a lavoro, non mi sono fermato mai. Avevamo il compito di sanificare bar, ristoranti, ma soprattutto cliniche, presenti in grande numero qui a Roma. Abbiamo vissuto tutti quanti un brutto periodo, soprattutto perchè bisognava star lontano dai propri affetti”.
Immagino che le abbia fatto un certo effetto vedere una Roma completamente deserta.
“È stata una sensazione stranissima specialmente perchè chi è abituato a vivere in questa città. Qui traffico, clacson, via vai di persone sono sempre all’ordine del giorno. All’improvviso non vedere più nessuno è stato quasi incredibile. Poi per noi romani è tutto più difficile visto che siamo abituati all’abbraccio, al saluto, ai gomiti sul bancone quando ordini il caffè al bar (ride, ndr). Se penso che adesso tutto questo dovrà cambiare mi sembra quasi di sognare”.
Roma però è bene il virus. riuscita a contenere
“Sì assolutamente, i cittadini si sono comportati molto bene, ma in generale tutto il centro-sud. Al nord, specialmente in Lombardia, la situazione è degenerata, ma credo ci sia un motivo”.
Ci dica.
“Tra il Lazio e la Lombardia c’è una grande differenza di numero di industrie e il Covid-19 lì è stato molto più aggressivo poiché favorito dalle polveri sottili. Qui da noi hanno chiuso le due più importanti industrie e il contagio è calato drasticamente”.
Ora siamo nella Fase 2 e tante società sportive necessitano di sanificare il proprio impianto. Voi avete un’azienda specializzata in questo, ma c’è da sottolineare che siete attivi da molto prima dell’emergenza.
“Sì, esatto. Noi abbiamo questa azienda da circa vent’anni. Tutto cominciò da un’idea di mia madre che aprì questa attività di disinfestazione. Con il tempo, e con il progredire della tecnologia, io e mia sorella ci siamo iniziati a specializzare anche in altri tipi di interventi tra cui appunto le sanificazioni e le disinfezioni”.
Ecco, l’ha nominata anche lei. La parola “sanificazione” è ormai sulla bocca di tutti. C’è chi si affida al fai-da-te e chi si scegli dei professionisti come voi.
“Dipende sempre da che cosa si vuole ottenere. Mi spiego meglio: se l’intenzione è quella di effettuare una pulizia dell’ambiente non c’è niente di male nel farlo da soli, anche giornalmente, va benissimo anche acqua ed alcol. Il discorso è diverso, però, se parliamo di sanificazione o disinfezione. Si può procedere anche da soli, ovviamente, ma difficilmente determinati prodotti e macchinari sono a disposizione del cittadino. Queste sono cose che vanno prese seriamente e affidarsi a dei professionisti fa la differenza”.
Colgo la palla al balzo. Leggevo che a Roma ci sono tante denunce per “falsi professionisti” nel vostro settore. È un fenomeno esistente?
“Assolutamente. Ed è una cosa davvero gravissima. In primis perchè si può mettere a rischio la propria vita. Noi giornalmente entriamo in contatto con ambienti in cui è stato presente il Sars-CoV-2 o la Sars. Accedere in questi posti con l’attrezzatura errata come un filtro della maschera sbagliato, ti espone al rischio di contagio e mette di fatto in pericolo anche tutti quelli che stanno intorno”.
A proposito, ci può spiegare qual è l’attrezzatura necessaria per sanificare un ambiente?
“Oltre chiaramente alla tuta protettiva, bisogna portare dei guanti specifici. Non quelli in lattice, chiaramente, ma ad esempio quelli che usano i chirurghi, che arrivano quasi fino al gomito. Poi sottoscarpa, mascherine professionali che coprono tutto il viso e si procede”.
Una volta terminato il lavoro, cosa si conserva dell’attrezzatura?
“Si butta tutto, eccezion fatta per la maschera chiaramente, a cui vanno cambiati i filtri. Del resto ci si deve liberare immediatamente”.
Immagino che in questo momento starete lavorando molto nei centri sportivi. Quante volte è consigliabile sanificare l’ambiente?
“In linea generale la sanificazione degli spogliatoi andrebbe fatta più volte durante l’anno, diciamo tra le tre o le quattro. Si tratta di una misura necessaria, basti pensare a quante volte i ragazzi rientrano nello spogliatoio sanguinando per via di un infortunio. Bisogna prestare sempre la massima attenzione. A maggior ragione, adesso, con questa emergenza”.
Oltre alle attrezzature di protezione, quali sono i prodotti e i macchinari che utilizzate per gli interventi?
“Il prodotto principale è il GD90: disinfettante, germicida, virucida e detergente. Impedisce qualsiasi tipo di fermentazione e disinfetta gli ambienti in caso di malattie infettive su superfici, pavimenti e pareti. Per quanto riguarda i macchinari, invece, abbiamo a disposizione un nebulizzatore ULV di insetticidi che in questo caso viene usato in ambienti più grandi”.
Quanto impiegate solitamente per sanificare un centro sportivo?
“Meno di quanto si possa credere in realtà. Con un’ora e mezza il lavoro è fatto. Dipende chiaramente dalla grandezza dell’ambiente, ma in genere tra i 60/90 minuti”.
Voi siete sempre a stretto contatto con ogni tipo di virus, tra cui appunto il Sars-CoV-2. C’è un po’ d’ansia quando si entra in ambienti dove c’è stato un contagio?
“In realtà no. Sappiamo come muoverci, lo facciamo da una vita. Ormai abbiamo superato quella fase. Ogni tanto sono le storie delle persone che aiuti che ti rimangono dentro...”. Ce n’è una che le è rimasta impressa?
Cosa si pensa in quei momenti?
“Ricordo bene, qualche settiman
a fa, quando abbiamo fatto un intervento a casa di una signora qui a Roma. Tutta la famiglia contagiata dal Coronavirus, compresi i figli, uno dei quali ricoverato all’ospedale. La mamma stava lottando anche contro un tumore quindi si percepiva proprio la disperazione di questa gente”.
“Ho pensato soltanto a togliere a questa famiglia il problema dentro casa per farla vivere in un ambiente sicuro. Noi possiamo fare soltanto questo”.
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